Influencer, etica e personal branding: intervista a Omar Rossetto

Dalla laurea in comunicazione alla carriera come responsabile del reparto Social Media dell’agenzia Velvet Media. In mezzo anche la stesura di un libro sulla figura degli Influecer: Influencermania.

Dal percorso di studi in comunicazione ha scoperto la sua passione per il marketing: poi una “montagna di libri” e tanta formazione online gli hanno permesso, insieme alla crescita professionale avvenuta all’interno degli uffici di Velvet Media, di scrivere un libro e di co-fondare una start up. “Una piattaforma web che sfrutta la visibilità degli influencer a scopo benefico” e “un portale che si occupa di mediazione tra aziende e influencer, per creare strategie di promozione vincenti” sono due dei progetti portati avanti da Omar Rossetto con la sua Just X.

Omar, hai scritto il libro: Influencermania. La storia, le novità e le strategie della più proficua attività media degli ultimi anni. Proficua per chi?

Sì, proprio dall’esperienza maturata in questi anni, ho avuto la possibilità di mettere nero su bianco quello che ho imparato lavorando con aziende e influencer in un libro, Influencermania appunto, edito da Hoepli e uscito a giugno 2020. Per rispondere alla domanda: proficua per chi ha saputo, negli anni di esplosione di questo fenomeno, sfruttare la potenza di fuoco comunicativa degli influencer per espandere il proprio business. Parlo di aziende e brand che hanno saputo associare i loro prodotti e/o servizi a volti in linea con i loro valori e generare quindi un legame personale con i follower/clienti rendendoli ingaggiati nei loro confronti.

Aziende, ma anche politici, hanno colto le opportunità create dai social media per aumentare il proprio pubblico. In alcuni casi anche con tecniche non proprio trasparenti, come quelle che spieghi nel capitolo “Etica ed Influencer.” Sembra invece che i giornali, quanto meno quelli tradizionali, non abbiano saputo sfruttare questa opportunità. Perché, secondo te? 

Credo che il mondo dell’editoria non sia direttamente paragonabile a quello di aziende e/o politici. I social possono essere usati in maniera molto differente adattandoli ai propri bisogni, tuttavia credo che, soprattutto negli ultimi anni, abbiano pesato molto nel rapporto tra informazione e social media le tematiche riguardanti le fake news e, di conseguenza, i giornali ne abbiano risentito. 

Il giornalista, oggi, deve lavorare – al pari di un influencer – sul personal branding? Se sì, in questo modo c’è il rischio che la veridicità delle notizie passi in secondo piano rispetto all’immagine del giornalista?

Credo che ogni professionista oggi debba lavorare sul proprio personal branding.
I social media da questo punto di vista sono un ottimo volano per la visibilità e per creare nuove opportunità, anche professionali. Non credo che la veridicità delle notizie passi in secondo piano se l’attività di divulgazione viene fatta in maniera etica e professionale, anzi l’immagine del giornalista può aumentare la portata della notizia stessa.

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